lunedì 9 marzo 2020

✨ AURORA RISING BlogTour | 🎙 INTERVISTA a TYLER e KAL

***PRIMA DI COMINCIARE, AVVISO AI BIBLIONAUTI***

Ciò che leggerete in questo post è frutto di un lavoro di fantasia. Ci siamo divertite a immaginare come sarebbe stato intervistare i personaggi di Aurora Rising. Tutti i diritti dell'opera restano proprietà inviolabile di Jay Kristoff e Amie Kaufman. Fate finta che sia una mini-mini fanfiction.


• ——— Lunedì | Ore 10.00 ——— •

Pantaloni di jeans, una camicetta sui toni del nero e del dorato, i capelli legati in un'alta coda di cavallo, stivali bassi — dei Tatum Boot texani — con stringhe e borchie laterali.
Me ne accorgo solo dopo, osservandomi allo specchio: sono cosparsa di formalità dalla testa ai piedi. Sembra che debba affrontare un colloquio di lavoro — di quelli parecchio noiosi — piuttosto che un'esaltante intervista a due dei membri della favolosa Legione Aurora. 
Sbuffo un sospiro. Pazienza, non ho abbastanza tempo per scegliere qualcos'altro. Avresti dovuto pensarci prima, signorina, mi rimbrotta la coscienza. Sempre la solita storia.

Il primo ad arrivare è Tyler — per gli amici, Ty; per Finian, il cervello della squadra, Ragazzo D'Oro, e per la sua adorata sorellina, Pulce. Insomma, l'alpha del gruppo. 
Ha occhi luminosi, una corporatura atletica, e il portamento fiero ma non altezzoso di un vero leader. 
In piedi accanto ai divanetti che ho preparato per l'occasione, si avvicina e mi tende una mano.
Due parole di presentazione — nessun accenno al mio outfit da funerale, grazie al cielo — e ci accomodiamo. 
Indico il vassoio con le focaccine dolci, il bricco del latte e la teiera. 
«Serviti pure» lo invito affabile. 
Declina con uno dei suoi sorrisi rubacuori — sì, le fossette sono irresistibili per davvero, gente — e dall'espressione intuisco che preferirebbe frasi strangolare dal Boia Stellare piuttosto che mandare giù una tisana calda — ma perché non ho pensato al punch?
Come da accordi, mi ha concesso due domande.

«Benvenuto Ty» esordisco. «Sono molto curiosa di sapere come ci si sente a coordinare un team di menti così diverse, a mantenere un ordine dei ruoli, ad accollarsi la responsabilità di qualsiasi decisione e, di conseguenza, di qualsiasi reazione. Immagino sia una sorta di vocazione, quella del leader. Una chiamata

Cerca la posizione più comoda, poi si schiarisce la voce.
«Sì, in un certo senso. Ho sempre desiderato essere a capo di una legione che fosse mia e, nonostante le cose non siano andate esattamente come mi aspettassi, sono stato fortunato. Non avrei potuto ambire a squadra migliore. Un leader rimane leader che abbia potuto selezionare i suoi legionari oppure no, e promette fiducia, protezione, collaborazione, anche al prezzo di enormi sacrifici. Con questo non voglio dire che sia stato semplice rapportarsi con tutti, all'inizio. Abbiamo avuto scontri — qualcuno anche piuttosto acceso — e abbiamo commesso errori, ma con il tempo, e anche costretti dallo stato di emergenza di alcune situazioni, abbiamo saputo armonizzare vizi e virtù, realizzando un'equipe di pronto intervento praticamente perfetta. O quasi.»

Sorrido. È bello sentirglielo dire
Prendo nota sul blocco degli appunti e procedo con la seconda domanda. 
«Ti sei mai pentito di aver portato via Auri dalla Piega?»

Scuote il capo. Non esita un istante.
«Mai» dice, la voce salda e le mascelle serrate. «Non avrei potuto lasciarla lì. Quello che ho fatto è stato necessario. Ha comportato una serie di rischi e la sua presenza nella LA si è dimostrata impegnativa, ma senza di lei saremmo rimasti ciechi e sordi alla verità. E la verità viene prima di tutto.»

Annuisco comprensiva ed esalo un sospiro.
Peccato. Il nostro tempo insieme è già scaduto.
«Ti ringrazio ancora una volta. È stato un piacere averti qui, per me e per i miei lettori.»

«Figurati. Lo è stato anche per me.» Si alza, strattonandosi le maniche della divisa. «E un saluto a tutti i lettori» aggiunge, sfoderando un altro dei suoi sorrisi. L'ultimo, prima di lasciare la stanza.

***

È il turno di Kaliis e io me la sto facendo sotto. Ospitare un syldrathi — e della specie più temuta, quella dei guerrieri — in un anonimo salotto letterario come il nostro è una sfida che mi riempie di euforia e angoscia nello stesso tempo. 
Avrei voluto allestire uno spazio più adeguato all'importanza e all'imponenza della sua persona, ma il panico mi ha trascinato in gorghi di insonnia, asfissia e totale paralisi cerebrale, pertanto dovrà accontentarsi di quello che passa il convento, con la speranza che le mie domande non gli facciano venire voglia di sfasciare l'arredamento. 
Entra e un brivido mi trafigge. Il sangue defluisce, il cuore capitombola in fondo allo stomaco. 
Sono completamente assoggettata al suo sguardo. 
Mi raggiunge — il passo cadenzato che sembra far tremare le pareti, le lunghe trecce che dondolano sulla schiena generando un movimento ipnotico. 
Mi ero promessa di non fissare il glifo con le tre lame che gli inchiostra la fronte, ma non riesco a trattenermi e gli occhi corrono a contemplarne le linee scure. 
Si profonde in una sorta di piccola riverenza. È un cenno della testa, il busto resta fermo. Poi, le labbra si curvano in un sorriso. 
Si siede, senza che gli dica niente — perché, nel frattempo, sono impegnata ad ammirare la singolare bellezza delle orecchie appuntite.
Stai facendo la figura dell'imbecille, mi rimprovera di nuovo la coscienza.
Mi ricompongo, le pagine del bloc-notes che frusciano e svolazzano impazzite. 

«Posso chiamarti Kal?» 
Non ci avevo pensato, ma potrebbe tornarmi utile per instaurare un clima amichevole e accantonare l'agitazione.
«Puoi chiamarmi Kal» mi concede. 
«Ammetto di essere un tantino emozionata…»
Socchiude le palpebre. «La mia presenza ti mette a disagio?»
«No, no! È che… Tu, ecco… Oh, accidenti, forse un pochino, sì.»
Mi aspetto quasi che si adombri o che decida di andarsene, invece allarga il sorriso e si sfiora il tatuaggio sulla fronte.
«Se è questo la causa del tuo timore, sta’ tranquilla. È innocuo. Io lo sono.»
Prendo un respiro, cercando di rilassare i nervi. «Ti va di parlarne?»
È la prima domanda e sono felice che si sia introdotta da sé. Un impiccio in meno. 
«Che cosa vuoi sapere?» rilancia, fissandomi negli occhi.
Ma non evitavano i contatti diretti?
«Quanto abbia compromesso la tua esistenza, per esempio. O quanto sia stato difficile, per te, sopportarne il peso. Sopportare… il giudizio della gente.»
«Quello che pensa la gente non è mai stato un problema. Se decidi di stuzzicare un guerriero syldrathi con l'intenzione di creargli delle rogne, sai anche che probabilmente tornerai a casa con un occhio pesto, una costola fratturata o il naso rotto. Se invece è alla mia gente che ti riferisci, il discorso cambia.» Diventa serio. «Ho sempre rispettato la volontà del mio popolo, ma non ne ho mai condiviso le scelte. Non tutte, almeno. L'ostilità nei confronti della nostra Razza, in primis. O il fatto che alcune nostre congreghe si siano ridotte a elemosinare aiuto. È inconcepibile.» Stringe i pugni, lottando con qualcosa che lo divora dentro. «Ho speso ogni briciolo di energia per ricostruirmi una vita, lontano da casa, dall'affetto di mia madre, ma non ho dimenticato. Certe ferite non smettono mai di sanguinare. Voi umani dovreste cominciare a impararlo.»
Ingoio un grumo di saliva che minaccia di bloccarmi il respiro. «A proposito di umani. Quanto ti è costata la convivenza con i membri della LA? Un bel po’ di terrestri con cui trascorrere le giornate.»
«Vuoi che parli male della mia squadra.» 
Sembra una domanda, ma è un'affermazione.
«No. Non oserei» mi affretto a precisare. «Sono solo curiosa di capire come sia stato gestire l'integrazione.»
«Questione di scelte» dice sbrigativo. «E Tyler era un ottimo alpha.»
«Tyler, sì. Ecco, vorrei…»
«Preferirei di no» mi interrompe. 
«Auri, allora.»
Per un attimo, distoglie lo sguardo. Si inumidisce le labbra. «Devi proprio, umana? Ho accettato quest'intervista perché mi hai assicurato che non sarebbe stata… invasiva.» Torna a rivolgermi l'attenzione. «Non sarebbe giusto nei miei e nei loro confronti.» 
«Loro?»
«I tuoi lettori. Suppongo che non tutti avranno letto la nostra storia.»
Sveglia, dormigliona! 
«Ma certo, i lettori.» Riordino i fogli fitti di annotazioni. «Quindi, finisce qui?»
«Finisce qui. Per adesso.»

Si congeda con un altro inchino-non-inchino e abbandona la stanza, che ripiomba in una malinconica e insignificante ordinarietà. 
Ne sono sicura. 
Tutta colpa del mio outfit da funerale. 

***

Come sarà andata alle mie colleghe?
Scoprilo leggendo le interviste agli altri personaggi.  


5 commenti:

  1. che carino, mi è sembrato di tornare nelle pagine del libro

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  2. Mi è piacita molto questa intervista, complimenti. Ty e Kal sono dei personaggi affascinanti, del tutto differenti ma entrambi hanno da dire ;)

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  3. Grazie Federica, grazie Erica!
    Kal è il mio PG del cuore. Psicologia complessa, vissuto complesso, sfumature incredibili.
    Ecco perché non vedo assolutamente l'ora di avere il seguito!

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