Cari amici, torno ad allietarvi con un'intervista all'autore di un romanzo che ho recensito qualche settimana addietro: Eugenio Saguatti. La sua creatura si intitola Caos a Qasrabad, ricordate? Tuttavia, le domande che faremo ad Eugenio non saranno incentrate esclusivamente sul libro, ma ruoteranno intorno a curiosità, aneddoti e chicche. Tutti pronti? Via!
Ciao Eugenio, grazie per aver accettato l'invito. Siamo onorati di averti ospite nel nostro blog.
Grazie a voi per l’ospitalità.
Essere scrittori: pregio o difetto?
Un difetto di fabbricazione, ma non ci puoi fare niente, nasci così. Mentre gli altri bambini giocano a pallone, tu te ne stai in disparte a leggere, e pensi: “Il finale l’avrei voluto diverso”. Cominci a inventare storie tue, magari ricalcate su quelle che hai letto, e le racconti agli amici. Se loro apprezzano e ne chiedono altre, sei fregato, hai venduto l’anima.
Quand'è che hai iniziato a scrivere?
Da sempre. Alle elementari il tema d’italiano era una scusa per raccontare quel che pareva a me.
Mercanteggiavo con la maestra: se faccio tre temi posso lasciar perdere il problema di matematica? (Anita ride)
Chi è lo scrittore, secondo te?
Lo scrittore è un ladro e un bugiardo. Ladro perché rubacchia ovunque (un discorso in autobus, il gesto ricorrente di un amico, un trafiletto di giornale) e accantona; un bugiardo perché inventa storie che sono solo nella sua testa e le spaccia come se fossero davvero accadute. Ma lo scrittore è anche un esibizionista timido: non resiste alla tentazione di mettere in mostra quel che sa fare, ma non ha il coraggio di metterci la faccia e lo fa al riparo della pagina scritta.
Non dimentichiamo però che stiamo parlando anche di un potente mago, uno che prende le emozioni, le liofilizza in strani segnetti neri e le racchiude tra pagine bianche. Se l’incantesimo è riuscito, le emozioni riprenderanno vita con tutti i loro profumi e colori al solo tocco dello sguardo. Non è un piccolo miracolo?
Come hai vissuto la tue esperienza con Alacràn Edizioni?
Molto bene. Seri, professionali e al tempo stesso umani. Mi hanno dato fiducia, ascoltato,
consigliato, guidato. Mettono anima ed esperienza in quello che fanno. Ho imparato molto da loro, e altro imparerò. Non per niente li ho ringraziati in chiusura di “Caos a Qasrabad”.
Hai sempre amato il fantasy?
Sono sempre stato attratto dalla letteratura fantastica – horror, fantascienza, gotico, visionario –, era destino che incontrassi il fantasy. Infatti è stato un colpo di fulmine. Univa ambientazioni da fiaba a temi molto seri; non potevo chiedere di meglio.
Pensi che, oggigiorno, il fantasy sia morto?
Al contrario, credo che il fantasy sia vivo e vitale. Dopo un bel po’ di tempo in animazione
sospesa, da una decina d’anni si è risvegliato pieno di energie. Sta crescendo, si evolve, cerca nuove strade.
Ci sono scrittori, sia stranieri che nazionali, che stanno esplorando nuovi territori. Scott Lynch (Gli inganni di Locke Lamora) e Jonathan Stroud (La Trilogia di Bartimeus) sono i primi due che mi vengono in mente dall’estero; tra gli italiani Francesco Dimitri (Pan, Alice), Francesco Barbi (L’acchiapparatti), G.L. D’Andrea (Trilogia del Wunderkind), Luca Tarenzi (Pentar, Il sentiero di legno e sangue) sono tutti autori che stanno innovando il genere. Sono convinto che in un futuro molto prossimo avremo delle sorprese. Delle belle sorprese.
Quali sono state le tue muse ispiratrici?
Se intendi le mie fonti d’ispirazione, sono infinite. Fumetti, film, giochi di ruolo, romanzi anche
NON fantasy, leggende popolari. Se intendi persone che mi abbiano influenzato e aiutato, sì, ce ne sono parecchie. Amici molto pazienti cui prima racconto a voce quel che ho in testa, poi affido le prime bozze. Altri che interpello per questioni tecniche (a che velocità vola un drago? come funziona la visione notturna?). Altri ancora che mi spronano, mi sostengono, mi ospitano e mi sfamano mentre sono perso nei miei mondi. Scrivere, in certe fasi, è un’attività molto più corale di quanto si possa pensare.
"Caos a Qasrabad": genesi dell'opera.
Quindici anni fa, o forse anche più, mi stavo interrogando sulla commistione dei generi. Alcune mescolanze sono ghiotte e fruttuose, tipo fantascienza e horror, altre invece sono impossibili, mi dicevo. Tipo… non so, giallo e fantasy. Se in una storia fantasy ci fosse un delitto, verrebbe tutto risolto in fretta con un incantesimo appropriato. Nessuna tensione narrativa, niente pathos, niente da raccontare. A meno che… eh già. Mi è scoccata una scintilla in testa. Se per qualsiasi motivo la magia venisse inibita, l’investigatore dovrebbe ripiegare su altri metodi, che magari non gli sarebbero nemmeno congeniali e si troverebbe in difficoltà. Allora sì che ci sarebbe da raccontare. Potrebbe funzionare. E mi sono buttato a scrivere.
Giochino divertente: descrivi il tuo romanzo utilizzando tre aggettivi.
Tre aggettivi, eh? Stai chiedendo all’oste com’è il suo vino. Proviamo. (Anita è diabolica)
Meticcio. Oltre al giallo e al fantasy, in Qasrabad ci sono altri incroci. Si trattiene il fiato ma si ride anche; si viaggia con la fantasia ma si resta con i piedi per terra; ci si rilassa ma si riflette anche un po’.
Autoconclusivo. Niente tri-penta-eptalogie, niente “to be continued”. Se piace, ci saranno altre storie nella stessa ambientazione; se non piace, ci si può fermare senza problemi.
Coinvolgente. Mi dice chi già l’ha letto che una volta aperto si fatica a lasciarlo.
Scriverai ancora? Qualche anticipazione in esclusiva?
Sto scrivendo in questo momento. Te lo dico in anteprima assoluta. È una seconda avventura di Wakancha, che inizia poco dopo la conclusione dei fattacci di Qasrabad. Il titolo provvisorio è “Derbendu”, dal nome della città da cui prende la mossa la storia. Stavolta l’elfo chierico si troverà coinvolto in una vicenda di spionaggio, di tradimenti, di cambiamenti radicali. Rispunterà la Tecnologia, bandita secoli prima. Wakancha si troverà a fare i conti con errori del passato, rivedrà vecchie conoscenze, farà nuove amicizie, e anche stavolta si affiderà più al proprio cervello e al proprio cuore che agli incantesimi.
Ho spedito via e-mail le prime cento pagine a un’amica fidatissima. Mi ha risposto qualche giorno dopo con un SMS: “Derbendu batte Qasrabad 3 a 1”.
E poi… ho buttato giù l’incipit per una terza avventura. Wakancha se la passerà molto male, non so se ne uscirà vivo.
E poi… avrei voglia di scrivere altro. Sempre nell’ambito del fantastico, va da sé, ma non più giallo-fantasy. Forse urban-fantasy, forse fanta-fantasy.
Uno slogan per invogliare i giovani a riscoprire l'amore per la lettura.
“Lìbrati”. Ho in mente anche un’immagine. Un ragazzino con un enorme libro attaccato alla schiena, come fossero ali, che si solleva verso un arcobaleno.
Mi risulta comunque che i ragazzi leggano; sono gli adulti che dovrebbero riconciliarsi con la lettura.
Al di là di questo, sono del parere che gli slogan lascino il tempo che trovano. Bisognerebbe “fare” più che “dire”, inventarsi qualcosa per comunicare lo stupore che dà la lettura. Organizzare lettura pubbliche, riportare in vita gli sceneggiati radiofonici e trasformarli in MP3, lavorare sugli audiolibri.
Una libreria in realtà è la più straordinaria delle agenzie di viaggio, ogni libro è una porta su un altro mondo. Basta allungare una mano per essere catapultati in un altrove a nostra scelta. Se non ci piace possiamo migrare senza cambiare i biglietti dell’aereo o discutere sulla restituzione della caparra.
E soprattutto le storie che diventano nostre non ce le toglie più nessuno.
Grazie mille, Eugenio, per la disponibilità e la cortesia. Ti facciamo i migliori auguri e ti salutiamo con un grande abbraccio.
Ricambio volentieri con un Abbraccio Stritolante (rubato dal libro degli incantesimi di Wakancha) e vi auguro in bocca al lupo mannaro. (Anita ride di nuovo)
1 commento:
Un autore con opinioni interessanti e con cui, in buona parte, concordo. Il libro mi sembrava già molto interessante, devo dire che ora lo affronterei con più curiosità, forse anche qualche aspettativa :D
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