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venerdì 26 maggio 2017

Letture che si affacciano alla vita e riempiono mancanze.

Buongiorno amici lettori. In questi giorni sono in vena di comunicazioni brevi, allora eccomi ad aggiornarvi delle mie letture in corso. Ieri ho iniziato un romanzo che mi si è scaraventato addosso rimproverando il mio passo stanco, il mio umore lento, il cuore troppo affaccendato. Si è introdotto neanche tanto furtivamente attraccando al porto di quella tristezza crepuscolare che scandisce i battiti, i fiati, gli impulsi dei pensieri e non va via. Lascia orme permanenti come per sigillare un accordo di pacifica alleanza, di reciproca resistenza alle cose. Mi sta bene, purché non sia una trappola e non cominci a dilagare nel verso inesorabile che prendono gli eventi quando si fanno ostinati. Spero comunque in una convivenza di rispetto. 
Il libro in questione ha per titolo il verso (il primo, a essere precisi) di un componimento. Se mi tornassi questa sera accanto, scritto da Carmen Pellegrino. Ti suona nelle orecchie che stanno inabissate dentro, riverbera come un'annunciazione, un'epifania a scatola chiusa, sovrana di tutto il silenzio e di tutto il rumore. Ti fidi e ti affidi al suo significato brado, quello primitivo che non richiede il dispendio di congetture ed esegesi cliniche, e ne apri il principio. Lo schiudi, come il guscio di una creatura maturata abbastanza per fissare la luce del mondo. E funziona come uno splendido imprevisto, come un incontro improbabile e risolutore. Scopri la frangibilità della bellezza, persino di quella che credevi più pura, e impari a riconoscerne e ad adularne le forme autentiche, che periscono nella materialità della loro estetica ma che hanno il potere di reincarnarsi all'infinito nell'immaterialità dell'aria, dei ricordi, degli orizzonti celesti. Scopri, insomma, che la bellezza vera predilige i luoghi imbattuti, nascosti, che vanno scavati. 
La storia è semplice eppure divina. Si snoda lungo i bordi di una famiglia dagli affetti in decadenza, dove ciascuno lotta e ciascuno soffre, ciascuno soccombe e ciascuno si oppone. La memoria di Giosuè, padre devoto all'ideale di una società dell'ignoto immune alle convenzioni e agli abusi espressivi, scorre attraverso le acque del fiumeterra, così lo chiama, e si abbandona ai moti incessanti dei sentimenti con una frequentazione assidua, cadenzata, puntualissima. Perché quando la vita toglie il terreno sotto i piedi ci si appiglia dove si può per colmare le assenze e ricucire gli strappi, prostrandosi dinnanzi alle colpe senza imboccare più scorciatoie, supplicando la liberazione da ogni male, convincendosi ancora di una salvezza meritata nonostante tutto. E il canto viene fuori impetuoso, selvaggio, imbevuto d'amore. Ma anche sommesso e languido, sul punto di incrinarsi. Antico come le cose perdute. 
Se ne leggono pochi di libri così attenti e così intensi. Assumono quasi le sembianze di un mausoleo della speranza, un tempio dove le preghiere si elevano alle parole e al loro senso intimo. Anche se poi tutto finisce. 

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