Buongiorno amici lettori. Un titolo, per questo post, che vuole dire tutto e niente ma che adesso capirete meglio.
Voglio raccontarvi la giornata allucinante di ieri. Sapete quanto ami il carattere nuovo delle esperienze, il gusto dell'esplorazione, i territori ignoti e il desiderio irrinunciabile di testare le resistenze. Quindi potete immaginare la mia reazione conclusiva quando ieri decido di confrontarmi con la pellicola più ammorbante ma anche maestosa e piena di allegorie di Pier Paolo Pasolini: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Ma perché lo hai fatto?, mi chiederete. La risposta tra origine da un bisogno semplicissimo che porta il nome di curiosità. Quel prurito insistente che se non soddisfatto rischia di trasformarsi in angosciante tormento. Poi metteteci pure che dietro l'opera cinematografica esiste un padrino letterario costretto in manicomio per i suoi piaceri insani e le sue idee convulse e allora diventa proprio insostenibile sottrarsi alla tentazione. Che arriva pure al momento giusto – ti convinci scioccamente – perché sei adulta e hai smesso di tremare per lo scricchiolio improvviso di una porta o il fragore stridente di un'imposta che sbatte (ma chi vogliamo prendere in giro?). Eppure finisci con l'accorgerti di non essere mai veramente preparato, di non aver visto che una porzione marginale del tutto. Non ne ricaverete un'analisi istologica ma solo epidermica, di superficie, perché tanto so delle inclinazioni di Pasolini e di questo suo cult scomodissimo.
Voglio raccontarvi la giornata allucinante di ieri. Sapete quanto ami il carattere nuovo delle esperienze, il gusto dell'esplorazione, i territori ignoti e il desiderio irrinunciabile di testare le resistenze. Quindi potete immaginare la mia reazione conclusiva quando ieri decido di confrontarmi con la pellicola più ammorbante ma anche maestosa e piena di allegorie di Pier Paolo Pasolini: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Ma perché lo hai fatto?, mi chiederete. La risposta tra origine da un bisogno semplicissimo che porta il nome di curiosità. Quel prurito insistente che se non soddisfatto rischia di trasformarsi in angosciante tormento. Poi metteteci pure che dietro l'opera cinematografica esiste un padrino letterario costretto in manicomio per i suoi piaceri insani e le sue idee convulse e allora diventa proprio insostenibile sottrarsi alla tentazione. Che arriva pure al momento giusto – ti convinci scioccamente – perché sei adulta e hai smesso di tremare per lo scricchiolio improvviso di una porta o il fragore stridente di un'imposta che sbatte (ma chi vogliamo prendere in giro?). Eppure finisci con l'accorgerti di non essere mai veramente preparato, di non aver visto che una porzione marginale del tutto. Non ne ricaverete un'analisi istologica ma solo epidermica, di superficie, perché tanto so delle inclinazioni di Pasolini e di questo suo cult scomodissimo.
Coprofagia, amplessi multipli, sevizie, umiliazioni fisiche e psicologiche in questo sottoterra di pulsioni e punizioni che si assimila così all'impalcatura infernale dantesca (con tanto di gironi), dove l'uomo si svilisce a creatura infima e facilmente accomodante, rapace nell'appagamento dei propri interessi, crudelissimo e perverso nelle manie. I dialoghi si intridono di volgare e disturbante lussuria, sfociano in delirio, ed è preclusa la fuga a chiunque si riscopra debole e riluttante.
Un prodotto, sicuramente, che dietro e dentro cela molti sotto-testi, di natura storica come di natura politica, che costarono al regista contestazioni brutali e un destino segnato.
Lo rivedrò dopo averne smaltito gli effetti devastanti per poterlo commentare meglio.